Parola alla nostra all’esperta Daniela Cimpeanu
Mal di testa, difficoltà digestiva, disturbi intestinali, stanchezza prolungata, labilità d’umore. Sintomi
facilmente attribuiti allo stress, qualora non siano riconducibili a una patologia meglio identificata. Spesso
però, si sottovaluta l’ipotesi che questi tipi così eterogenei di fastidi possano essere ricondotti alla reazione
del nostro organismo a un alimento. Per approfondire questo tema, di interesse per un numero crescente
di persone (si calcola, infatti che circa la metà della popolazione sia intollerante verso qualche alimento e il
10-20% allergica), abbiamo incontrato la naturopata esperta nel benessere e nella prevenzione dei disturbi
gastrointestinali Daniela Cimpeanu.
Intolleranza e allergia. Si tratta di sinonimi o ci sono delle differenze?
No, i due termini fanno riferimento a disturbi diversi fra loro. Un criterio per distinguere è osservare le
modalità della reazione. Nell’allergia è coinvolto il sistema immunitario che innesca una reazione di difesa a
un particolare cibo mediante la produzione abnorme di un anticorpo detto E (Ig E). Alla presenza
dell’allergene si liberano i globuli bianchi dall’istamina che infiamma i tessuti provocando reazioni
somatiche vistose e immediate. Nelle intolleranze invece le reazioni dell’organismo sono molto ritardate
rispetto all’assunzione della sostanza non tollerata. Inoltre, la reazione si può verificare fino a 72 ore dopo
l’assunzione dell’alimento, risultando così molto meno riconoscibile. Esse sono riconducibili all’accumulo
nel tempo delle sostanze responsabili d’ipersensibilità, fino a un livello che a un certo punto supera la “dose
soglia”. A causa di questo periodo di latenza, di frequente risulta difficile accettare e comprendere come si
possa “improvvisamente” diventare intolleranti ad un cibo comunemente introdotto o meglio pluri-
introdotto quotidianamente (frumento, lieviti, pomodori, latticini…).
Quali sono le intolleranze più diffuse e come riconoscerle?
Prendendo in considerazione la sostanza verso cui possiamo essere intolleranti, le più comuni sono quelle
al lattosio e al glutine (il che significa dire addio a pane, pasta, formaggi e numerosi altri piatti della cucina
mediterranea). In generale, però, se ne distinguono vari tipi: abbiamo, ad esempio, le intolleranze
metaboliche e le intolleranze agli additivi chimici. Le prime nascono da mancanza o carenza di enzimi
impiegati nel metabolizzare alcuni aminoacidi. L’esempio classico è l’intolleranza al lattosio dovuta a una
carenza dell’enzima lattasi. In questo caso insorgono problemi nella digestione causando disturbi
gastrointestinali tra cui gonfiore, dolori addominali, diarrea. Le seconde, invece, sono dovute ai
conservanti, dolcificanti, ed esaltatori di sapidità presenti nei cibi che assumiamo quotidianamente e
possono produrre disturbi come nausea, mal di testa, dolori addominali.
Dunque “intolleranti si diventa”, cosa favorisce l’insorgere dell’intolleranza alimentare?
Esistono molti fattori che favoriscono lo sviluppo di una o più intolleranze. In primo luogo l’abuso, sempre
più diffuso, di farmaci e di alimenti raffinati come ad esempio le farine bianche, i lieviti e gli zuccheri (che
alterano la flora batterica intestinale). In secondo luogo, ma non meno importante, una serie di
comportamenti alimentari sbagliati derivanti da uno stile di vita sempre più comune e sempre più
accettato. Alimentazione ripetitiva, a base di cibi conservati e congelati e scarsa assunzione di acqua sono
tutti elementi che disabituano il nostro corpo a certe sostanze contenute nei cibi, fino a far sì che non si
riesca più a sopportarle. A tutto questo bisogna aggiungere quegli elementi tipici dello stile di vita “fast
food”, come lo stress fisico continuo, ritmi alimentari sregolati, periodi di sonno e veglia non regolari.
Quali sono i sintomi a cui prestare maggiore attenzione? Come si manifestano le intolleranze una volta
superata la “dose soglia”?
Di norma si parte con gonfiori addominali, cattiva digestione, anche per un semplice spuntino, mal di testa,
dermatite, disbiosi intestinale (squilibrio della flora batterica intestinale), colite, diarrea, stipsi, disordini del
peso corporeo, sia in eccesso sia in difetto. Sono tutte spie spesso ignorate per le intolleranze alimentari.
Dato che la moderna alimentazione è basata su cibi molto “raffinati”, si verifica nell’organismo una carenza
di vitamine e di sali minerali. Come anticipato, le abitudini alimentari errate e l’assunzione smodata di
farmaci riducono la capacità di filtraggio dell’intestino. Accade così che i fori delle sue pareti si allarghino,
lasciando passare particelle alimentari non metabolizzate e quindi identificate dall’organismo estranee e
intollerabili. Da non sottovalutare gli agenti stressanti: il nostro sistema immunitario è sempre più
influenzato dalla presenza di fattori stressogeni di tipo diverso: alimenti tossici, veleni ambientali e non
ultimi, stress di natura psicologica.
Ma come individuare, tra tanti alimenti, proprio quello verso cui si è intolleranti?
Un’analisi test è sempre consigliabile per accertare con precisione l’intolleranza. Una volta individuato
l’alimento o la sostanza che il nostro corpo non sopporta è necessario astenersi rigorosamente per almeno
sessanta giorni dall’assunzione del cibo incriminato. Compito non così semplice perché occorrerà evitarlo
anche nelle sue forme più nascoste (ad esempio, gli intolleranti al lattosio potrebbero “incontrare” il siero
di latte nel prosciutto cotto). Nello stesso periodo verranno eliminati anche i cibi che possono generare
reazioni crociate, come latticini e carne di manzo. Successivamente si cerca di reintrodurli, in modo
graduale e controllato. Anche per questo è essenziale rispettare una corretta educazione alimentare.